ANDREA LONGONI


Ciao Andrea, come prima domanda ti chiedo: come è stato il tuo percorso per diventare un giornalista sportivo? Quali sono stati i tuoi studi e che cosa ti ha affascinato di questo mondo?

Da piccolo sognavo di diventare giornalista sportivo, è sempre stato il mio obiettivo e mi ritengo fortunato oggi perché faccio quello che mi piace. Mi sono laureato in Scienze della Comunicazione e durante gli studi ho iniziato a fare un po’ di pratica scrivendo articoli a livello locale. Poi l’esperienza in una piccola radio di provincia, fino allo stage a Telelombardia, che poi mi ha accolto a tutti gli effetti nella sua famiglia grazie al direttore Fabio Ravezzani, che ha creduto in me.

 

Sappiamo che sei tifoso milanista. Da dove nasce questa passione? Quali sono i ricordi della tua prima partita allo stadio?

La mia passione per il Milan arriva dalla mia famiglia, rossonera fino al midollo. Me l’hanno trasmessa mio papà e mio fratello: diciamo che poi l’ho portata avanti molto bene. Ricordo alcune amichevoli col Monza viste allo stadio da bambino, mentre ho ben chiaro un flash nella mente su una partita contro il Torino in campionato: tiro di Van Basten e autorete di Cravero. Avevo sette anni ed ero al secondo anello arancio. Ho salvato nel database della mia mente l’immagine del gol che credo non dimenticherò mai.

 

Il ricordo più bello da tifoso milanista? Quello invece legato alla tua carriera professionale? Raccontaci qualche aneddoto.

Da tifoso ho vissuto tantissime emozioni fantastiche. Ero allo stadio nel 6-0 contro l’Inter, ma ovviamente le Champions evocano emozioni fortissime. In particolare, ricordo grande tensione il pomeriggio della super vittoria col Barcellona: era difficile ingannare l’attesa e pensavo continuamente che saremmo scesi in campo senza i favori del pronostico. La vittoria, anche per questo, fu ancora più bella. Come non citare poi quella vinta contro la Juve dopo aver eliminato l’Inter: ecco, senza nulla togliere a quella successiva col Liverpool, credo che la Champions del 2003 sia stata quella più goduta, anche per il percorso. Finale a parte, avevo visto tutte le partite casalinghe, anche il derby: in coda alle 5 del mattino al Milan Point per acquistare i biglietti.

A livello professionale ho vissuto altrettante soddisfazioni. I primi servizi, le prime dirette, le prime interviste. Forse le più gratificanti alcune esclusive con Silvio Berlusconi. Indimenticabile anche quella, sempre in esclusiva, a Kakà appena sbarcato in Italia di ritorno dalla consegna del Pallone d’Oro.

 

Il tuo mestiere ti rende felice? Durante la tua carriera professionale hai avuto o hai tutt'ora dei personaggi a cui ti ispiri o prendi esempio?

Mi sento realizzato perché, come detto, lavoro e faccio quello che più mi piace. E’ chiaro che questo comporti tanti sacrifici e responsabilità, ma credo non farei cambio con altri mestieri. Parlando di calcio tutti i giorni, quando torno a casa tengo a ‘staccare’: è calcio, ma è pur sempre lavoro. Il mio riferimento è stato il direttore, Fabio Ravezzani. In questi anni ho imparato davvero tanto da lui, oltre che dai colleghi più esperti con cui ho lavorato.

 

Cosa hai provato la prima volta che sei apparso in televisione?

Grande soddisfazione, ma che tensione. All’inizio del mio percorso ovviamente ero molto più insicuro di oggi: finire sulla tv che ho sempre seguito da telespettatore non era esattamente come andare a mangiare il gelato sotto casa. Conservo ancora su videocassetta le prime dirette: ricordi bellissimi.

 

Quali consigli ti senti di dare ad un ragazzo che sogna di diventare giornalista? Qual è lo spirito giusto?

Riuscire a fare di questa passione un lavoro è sempre più complicato. Sicuramente ci vuole tanto, tantissimo spirito di sacrificio, oltre a una buona dose di determinazione. Gli studi sono utili, ma è un lavoro che si impara facendolo. Le possibilità sono sempre più ridotte: per questo, diciamolo, anche un po’ di fortuna non guasta. Parlavo di determinazione, che non deve tradursi poi in ostinazione. Vedo tanti ragazzi trentenni o ultra trentenni che provano a conquistare questo mondo e nel frattempo vivono con uno stipendio molto basso (qualche centinaia di euro, se va bene). Ecco, consiglio a tutti i ragazzi di porsi dei limiti, delle scadenze, oltrepassate le quali è consigliabile dedicarsi ad altro. Magari il giornalismo a quel punto può diventare un hobby: va bene la passione, ma poi bisogna fare i conti con la realtà. Non essere riusciti e fare altri lavori non rappresenterebbe assolutamente una sconfitta.

 

 Nel corso degli anni il giornalismo ha subìto, almeno in parte, un processo di involuzione. Con l'avvento del Web 2.0 è venuto meno il fattore dell'esclusività sulla carta stampata. I social network, inoltre, permettono a chiunque di poter pubblicare notizie ottenendo visibilità. Consideri positivi i nuovi mezzi informativi? Che rapporto hai con i social?

Io sono molto social: sono operativo su Twitter, Instagram e Facebook. Li considero strumenti eccezionali, ma purtroppo l’ignoranza di molti li rende a volte pericolosi. Il fenomeno delle fake news è difficile da debellare, così come la cattiveria che si sprigiona sui social senza controllo.

 

Ti è dispiaciuto che Cutrone sia stato venduto? Secondo te il fatto che gli attaccanti della nazionale siano poco prolifici, in termini di goal, è dovuto anche a questo tipo di trattative? ( il nostro bomber è ancora Gigi Riva)

Mi è dispiaciuto e a livello sentimentale, ma ricordo che Cutrone lo scorso anno ha fatto solo 3 gol in campionato. Sicuramente uscire dall’Italia e girovagare in Europa non aiuta i nostri giovani italiani a imporsi.

 

Giampaolo è una figura che ti convince?

Mi convinceva in estate e anche molto, ma ora le mie certezze sono venute meno. Sono quanto meno perplesso di fronte a quanto fatto veder finora: confusione totale, a livello tecnico e anche comunicativo.