Il mio Pasolini III

Il mio Pasolini è regista.

Siamo agli inizi degli anni ’60 quando un nuovo impulso vaga nella testa di Pier Paolo Pasolini, che decide di abbandonare il codice scritto, a favore di quello visivo.

Il cinema è per lui una piacevole scoperta, tanto insolita quanto rivelatrice. L’occasione di portare, attraverso la prosa, la poesia nel reale, di trovare delle correlazioni tra immagini e parole.

Proprio grazie alla cinepresa riesce ad immergersi completamente nella realtà a lui più cara, quella delle periferie. Per questo il suo primo film da regista prende il titolo di Accattone e vede come protagonista un piccolo criminale, un emarginato delle borgate romane.

Con i suoi film il Maestro stava iniziando a dare le cattive notizie che il pubblico non voleva sentire.

Quella di Pasolini è un’ossessione per l’autenticità, che sfocia con l’esagerazione di preferire attori dilettanti e non professionisti:

“Ho una preferenza quasi ideologica, estetica per attori non professionisti in quanto che essi sono brandelli di realtà (…) come un paesaggio, un cielo, un asino che passa per strada. Sono elementi di una realtà che io manipolo e ne faccio quello che voglio”

Walter Siti, scrittore e saggista italiano, vede nell’avvicinamento di Pasolini al cinema una mescolanza tra euforia e rassegnazione: da una parte la forza del nuovo mezzo, lo stimolo per una nuova sfida intellettuale, dall’altra l’ultimo tentativo per cercare di coinvolgere un nuovo pubblico, lontano dai valori borghesi.

Io dico che, aldilà di questi aspetti, la scelta di Pasolini è legata principalmente alla sua formazione. Il maestro corsaro infatti in giovane età aveva conosciuto Roberto Longhi, celebre storico dell’arte, ed era rimasto ammaliato dalle sue lezioni, in cui utilizzava delle diapositive per rendere chiari peculiarità e simbolismo delle opere mostrate. L’avvicinamento all’arte in modo così diretto e nuovo per l’epoca, resterà sempre una costante nella visione pasoliniana.

L’arte è materia che produce stupore, fascino, e permette di esprimere più di ogni altra cosa la propria soggettività. E’ il prodotto della tecnica e della mente umana. Quel fascino, di cui Pasolini sarà ostaggio, deriva dalla capacità dell’artista di trascendere dalla tecnica.

Pasolini sapeva bene che un’opera d’arte può considerarsi tale quando il mio sguardo non la esaurisce ma rimanda ad un ulteriorità di significati. C’è un rinvio verso l’invisibile.

Non è un caso che in molti sostengano la tesi che Omero fosse cieco, perché se racconti cose così grandi, come l’Iliade e l’Odissea, non puoi esserti fermato a quello che vedi tutti i giorni. Qui comincia la dimensione dell’arte e allo stesso tempo l’obiettivo di Pasolini. Non basta l’immagine, serve qualcosa di più profondo, che smuova l’emotività dello spettatore.

Ora, sono moltissime le strategie adottate da Pier Paolo Pasolini per raggiungere tale scopo. Tra tutte, mi preme sottolineare il chiaro parallelismo tra l’opera rinascimentale de Il Cristo Morto di Andrea Mantegna e l’ultima scena del film Mamma Roma, in cui risulta evidente il medesimo utilizzo della prospettiva, con un punto di vista insolito in cui lo spettatore sta ai piedi del Cristo:

“Concepisco sempre il fondo come il fondo di un quadro, come uno scenario e, per questo, lo aggredisco sempre frontalmente”


Altro esempio possibile, è dato dall’utilizzo della musica di Bach nel suo primo film, Accattone, che ha destato molte polemiche:

“In Accattone ho voluto rappresentare la degradazione e l’umile condizione umana di un personaggio che vive nel fango e nella polvere delle borgate di Roma. Io sentivo, sapevo, che dentro questa degradazione c’era qualcosa di sacro, qualcosa di religioso in senso vago e generale della parola, e allora questo aggettivo, “sacro”, l’ho aggiunto con la musica. Ho detto, cioè, che la degradazione di Accattone è, sì, in qualche modo sacra, e Bach mi è servito a far capire ai vasti pubblici queste mie intenzioni”


E’ questo il mio Pasolini. Quello che attraverso l’immagine esplora indirettamente le proprie possibilità e, senza filtri o convenzioni, ti pone di fronte ad una realtà autentica.


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“Mamma Roma” di Pasolini e il “Cristo morto” di Mantegna


*Le citazioni di Pasolini sono tratte dal testo di B.D Schwartz, "Pasolini Requiem". La nave di Teseo, 2020.