Il mio Pasolini IV

Il mio Pasolini è omosessuale.

Quando ho iniziato a scrivere questa serie di articoli, diverse sono state le reazioni. Da una parte ho ricevuto numerosi complimenti riguardo ai temi trattati e allo stile di scrittura, dall’altra, considerando il soggetto Pasolini, non sono mancate le domande come “Ma lo sai che era gay?” oppure “Perché scrivi di un culattone?”

Io rispondo che Leonardo, Frida Kahlo, Andy Warhol, Oscar Wilde, Michelangelo e Socrate erano omosessuali

Toto Riina, Benito Mussolini, Adolph Hitler, Stalin, Karl Brandt e Pablo Escobar erano eterosessuali.

Mi basta questo per capire come il criterio per giudicare una persona non possa essere la sessualità, piuttosto quello che fa, o che ha fatto e lasciato dietro di sè.

In ogni caso, fatta questa premessa, l’omosessualità di Pasolini richiede un’analisi profonda, in quanto il Maestro corsaro ha sempre affrontato questo tema in maniera aperta, senza tralasciare nulla. Dalle relazioni con i ragazzi delle borgate romane all’attrazione verso i suoi studenti.

La sessualità di Pasolini è sregolata, caratteristica ricorrente degli artisti come lui. Il compito dell’artista è la creazione di qualcosa senza tempo, di immortale. Deve vedere le cose in anticipo e permetterti di scorgerle solo quando avrà deciso di indicartele. Ecco perchè la sua vita sarà sregolata, spesso anche isolata dal contesto, perché la sua follia è anche mentale, nel vedere le cose in un altro modo. Dunque non bisogna cadere nell’errore di giudicare Pasolini, e tutti i geni come lui, condannandolo per comportamenti poco corretti, perché senza quella mentalità non sarebbe stato l’artista che oggi si studia in tutte le scuole d’Italia.

 

Pasolini credeva che un’idea senza corpo non valesse nulla. Era attratto da ragazzi giovani e poveri, ignoranti e dimenticati. Non gli bastava scrivere di quel mondo, voleva entrarci con tutto sé stesso. La sua grande abilità è stata quella di non aver mai nascosto la sua identità, anzi, di aver messo per iscritto le sue pulsioni ed i suoi piaceri, in un Italia ancora molto arretrata in termini di morale.

Queste le sue parole riservate a Gennariello, un personaggio immaginario, prototipo ideale di Pier Paolo Pasolini:

“Prima di tutto tu sei, e devi essere, molto carino. Magari non in senso convenzionale. Puoi anche essere un po’ minuto e addirittura anche un po’ miserello di corporatura, puoi già avere nei lineamenti il marchio che, in là con gli anni, ti renderà fatalmente una maschera. Però i tuoi occhi devono essere neri e brillanti, la tua bocca un po’ grossa, il tuo viso abbastanza regolare, i tuoi capelli devono essere corti sulla nuca e dietro le orecchie, mentre non ho difficoltà a concederti un bel ciuffo, alto, guerresco e magari anche un po’esagerato e buffo sulla fronte. Non mi dispiacerebbe che tu fossi anche un po’ sportivo, e quindi fossi stretto sui fianchi e solido di gamba (quanto allo sport, preferirei che tu amassi il pallone, così ogni tanto potremmo fare qualche partitella insieme). E tutto questo – tutto questo che riguarda il tuo corpo, sia ben chiaro- non ha , nel tuo caso, nessun fine pratico e interessato: è una pura esistenza estetica, un di più che mi mette meglio a mio agio.”

 

Pasolini su questi argomenti produsse una grande opera, Comizi d’amore, un film-inchiesta che ruota attorno al tema dell’eros, con cui il Maestro mette in luce l’ipocrisia di un Paese che finge la sua tolleranza di fronte ai tabù sessuali. Condanna un atteggiamento moralista e non morale, dovuto anche ai condizionamenti di una religione che, attraverso l’uso repressivo del potere spirituale, si propone ad essere agenzia etica.

E’ così che, con cinquant’anni d’anticipo, P.P.P avverte la mancanza di un’educazione al sentimento, che per essere salda deve partire dal basso, dalle scuole. Non c’è spazio per un vocabolario sentimentale, utile a formare uomini che pensano. Ad aver la meglio è la cultura della prestazione, dove l’interesse si riserva solo al valutabile, a discapito della soggettività.

 

E’ questo il mio Pasolini. Quello che rinuncia alla sua zona cieca, che utilizza la parola per non essere ostaggio del fuoco del suo tempo.