Il mio Pasolini V

Il mio Pasolini è odiato e perseguitato.

Il rapporto tra Pier Paolo Pasolini e la società del suo tempo è stato fortemente travagliato.  

Volete sbranarlo, Pasolini” è la frase che pronuncia Francesco Carnelutti, suo avvocato difensore, per sottolineare quanto il suo assistito venga ingiustamente inserito al centro di forti polemiche, enfatizzate dai mezzi stampa.

Saranno ben 33 i processi in cui Pasolini si dovrà difendere per accuse infondate, talvolta ridicole, che hanno però contribuito a delegittimare il poeta, gettando numerose ombre sulla sua figura. Tra queste, la più clamorosa è probabilmente quella del 1961, quando viene accusato da un barista per rapina a mano armata con una pistola d’oro. Non ci sono prove, non c’è un movente, l’arma non viene trovata e l’accusatore dirà solo qualche giorno dopo il fatto che l’ipotetico avventore era Pasolini.  

Tutto questo non basta, perché il clima d’odio che si è creato verso il Maestro lascia sempre spazio al sospetto. Così viene incredibilmente condannato a 15 giorni di reclusione e costretto a pagare una multa di 60.000 lire. Alla Corte d’Appello ottiene poi l’amnistia e solo in Cassazione viene assolto. Si, ma non con formula piena, non perché viene dichiarato innocente, ma solo per mancanza di prove. Una decisione che contribuisce ad alimentare dubbi e perplessità intorno al suo personaggio.

Seguono altre imputazioni ai limiti della realtà: dalle denunce per plagio fino all’accusa di un allevatore, che nel 1969 lo incolpa della morte di 50 pecore di sua proprietà, dovuta ai cani che agivano da comparse nei film di Pasolini. Curiosa però è anche la leggenda secondo cui P.P.P sarebbe stato ricoverato per essersi recato in ospedale con un remo nell’ano.

Fandonie, menzogne, balle. Tutto questo genera nella gente un atteggiamento di precauzione nei confronti del Maestro. Si inizia a fare confusione tra lui e il personaggio dei suoi romanzi. Un atteggiamento pericolosissimo che porta ad una mentalità secondo cui se scrivi di sesso sei un pedofilo. Se scrivi di droga sei un drogato. Se scrivi di mafia sei un mafioso.

E’ in questo clima che viene cacciato dal PC per immoralità. E’ in questo clima che viene assalito al cinema da un gruppo di neofascisti, che dopo averlo picchiato gettano dell’inchiostro sullo schermo per censurare i suoi film. E’ in questo clima che Pasolini, quando si avvicina nei pressi di un’edicola, guarda il muro, gira lo sguardo, temendo che i giornali abbiano scritto qualche offesa sulla sua vita personale.

Non è vero che i miei film fanno male. Mi hanno detto che in Francia c’era la fila”. Se lo dice da solo, con semplicità e tenerezza, perché tutta la stampa italiana gli si rivolge contro.

Il cerchio si chiude il 2 novembre 1975, il giorno della sua morte. Anche in quel caso verrà massacrato di botte e investito dal suo carnefice, che la giustizia, nonostante delle indagini indecorose, ha sentenziato essere Pino Pelosi. Ma la verità è che Pasolini era morto molto tempo prima. Era già stato colpito 33 volte da una delegittimazione continua, asfissiante. Così si è arrivati a commentare la sua fine con un “Se l’è cercata”.

E’ finito il mio Pasolini, il più grande del Novecento, martire letterario per eccellenza. L’uomo trasformato in bersaglio che oggi è fondamentale riscoprire.