-Ciao Cristiano. Da dove nasce l’idea di diventare un giornalista sportivo? Quali sono state le figure più importanti che hai incontrato durante la tua carriera?
Questa domanda mi riporta indietro di tanti anni. Ricordo di un tema alle scuole elementari, che tutt’oggi conservo, in cui scrissi che il mio sogno sarebbe stato quello di diventare un giornalista sportivo. Posso considerami fortunato per essere riuscito a realizzare questo desiderio molto rapidamente, considerando che già all’età di 20 anni entrai nella redazione di Telelombardia per uno stage, iniziando a fare pratica parallelamente agli studi universitari. A questo si aggiunge in seguito il coronamento di aver potuto seguire la mia squadra del cuore, il Milan.
Penso che la figura più importante sotto questo punto di vista sia stato proprio il direttore, Fabio Ravezzani, che è stato il primo a dare al mio lavoro una vera e propria dignità professionale, in un momento in cui stavo ancora studiando da giornalista. L’opportunità di potersi formare sul campo, nel vero senso della parola, è stato fondamentale. Iniziai seguendo il Brescia, prima di occuparmi della Juventus quattro anni più tardi. Infine, tra il 2006 e il 2007, si liberò un posto per seguire il Milan, dato il passaggio di Tiziano Crudeli a 7Gold, quindi riuscii finalmente a raggiungere un traguardo che aspettavo da anni.
Ho lavorato in anni in cui il giornalismo sportivo aveva delle risorse molto diverse da quelle che poi si sono susseguite con la crisi dell’editoria. Nonostante fossimo la “piccola Telelombardia” avevamo l’occasione di poter prendere parte quotidianamente alle trasferte europee, seguire le squadre a Milanello, Appiano, Vinovo e così via. Penso che sia stata una grande fortuna vivere l’ultima generazione dell’inviato vero e proprio. Oggi le cose sono molto cambiate.
- Il ricordo più bello legato alla tua carriera professionale? Raccontaci qualche aneddoto.
Penso che la soddisfazione più grande risalga proprio ai tempi in cui ero ragazzino e seguivo il Brescia. In quel tempo si vociferava un possibile arrivo di Baggio in città. Per questo, mi recai a Ospitaletto, dove si trovava l’azienda di Gino Corioni, il presidente di allora, per saperne di più sulla trattativa. Inaspettatamente Corioni mi confermò l’acquisto definitivo del “Divin Codino” e dichiarò che Baggio sarebbe stato presentato nei prossimi giorni in sede. Fu uno scoop incredibile che venne ripreso dai giornali di tutta Europa.
Un altro grande ricordo risale a quando abbiamo organizzato il trasporto di messaggi, bandiere, magliette, video etc. per Kakà, in modo da ringraziarlo e cercare di convincerlo a restare in rossonero.
- Cosa pensi dei corsi per diventare giornalista? In futuro a cosa andrà incontro la professione?
Ho il massimo rispetto per i corsi sul giornalismo e per chi li organizza. Se dovessi però dare un consiglio a mio figlio non glieli farei mai fare. Penso che il voler diventare giornalista sia un sogno bellissimo e richieda tanti sacrifici. La pratica sul campo nel mio caso è stata fondamentale.
Nella vecchia generazione il giornalismo era un lavoro elitario ed esclusivo, mentre con il tempo sta diventando sempre più un lavoro di massa. In futuro c’è la possibilità che il giornalismo non sia più una professione. Oggi tutti hanno gli strumenti per poter fare informazione, con i social network ad esempio. In questo non c’è un bene o un male, è semplicemente l’evoluzione del mondo.
Un grande rischio è che abbassando il livello di professionalità, dunque anche gli stipendi, l’informazione sarà sempre meno libera e più condizionata. Bisognerebbe riuscire ad accettare il fatto che c’è molta più informazione, riuscendo però ad evitare che quella accurata sia di parte. Se così non fosse, sarebbe paradossalmente più libera l’informazione della gente comune, piuttosto che quella riconosciuta ed ufficiale.
La mia fortuna più grande è quella di poter fare informazione, seppur sportiva, in maniera totalmente libera, senza mai nessun condizionamento. Nessuno mi ha mai detto quello che dovevo fare, e ti assicuro che nel mondo del giornalismo questa cosa non è scontata. Essere sempre e comunque libero, avere la forza di dire “No”, forma giornalisti sani, lontani da schemi mentali predefiniti.
- Data la tua grande passione per i rossoneri, hai mai temuto di poter essere imparziale?
il Milan è da sempre una passione. Penso di riuscire a gestire e distinguere ciò che riguarda l’aspetto professionale da quello personale.
Un conto è essere tifoso del Milan ed essere pagato da un organo indipendente, un altro è essere pagato da un organo della società. Sono due cose totalmente diverse. In questo secondo caso non si fa il lavoro del giornalista, ma si è operatori dell’informazione di parte. Si tutela a livello comunicativo chi ti paga. E’ difficile essere critici ed obiettivi se è la società che ti offre lo stipendio e sopratutto la linea editoriale.
Qui si riprende il discorso sulla libertà di informazione che citavo in precedenza. Ad esempio, se uno nasce e cresce professionalmente a Milan Channel non può essere considerato un giornalista, ma un addetto stampa.
Personalmente ho collaborato con Milan Channel fino a quando nel 2011 scrissi un articolo che metteva in discussione i vantaggi economici di “Casa Milan”, che sostituiva la vecchia sede di proprietà di Via Turati. Da quel momento si ruppe il legame. Sono sicuro che, nel caso avessi ritrattato il mio pensiero, sarei tornato ancora senza problemi.
- Buoni propositi per la prossima stagione?
Come mio buon proposito per la prossima stagione spero che il progetto di CristianoRuiuTv possa andar bene, cercando di essere il più presente possibile, senza abbandonare il mio spirito critico.
Per quanto riguarda il Milan, penso si stia formando una squadra con uno spirito veramente milanista. Ritornare in Champions League è ovviamente l’obiettivo.
Samuele Nava © 2024