GIANLUIGI NUZZI


- Buongiorno Gianluigi. Com'è stato il percorso che le ha permesso di diventare giornalista e conduttore televisivo?

Ho avuto questa passione sin da bambino, quando tornavo a casa dalle scuole elementari e disegnavo sulla carta carbone un giornalino destinato ai miei famigliari. Con il tempo questo interesse si è sviluppato e ho iniziato a collaborare con il settimanale “Topolino”.

In ambito televisivo, ho iniziato come ospite nel programma “Iceberg” condotto da David Parenzo su Telelombardia, dopodichè sono diventato opinionista fisso nel programma “L’infedele” di Gud Lerner. Questi primi passi mi portarono poi a condurre un programma di inchieste su La7, che si chiamava “Gli intoccabili”.

 

- Qual è stata la sua maggior soddisfazione sotto il punto di vista professionale?

Ce ne sono state tante. Sicuramente la pubblicazione delle carte riservate a Papa Benedetto XVI ha generato uno scoop a livello mondiale. Avere a disposizione quel tipo di dossier ha avuto un forte eco.

 

- Lei si occupa principalmente di giornalismo d'inchiesta: quanto sono importanti le fonti?  Come si ottengono e se ne verifica la validità?

Nel giornalismo d’inchiesta le fonti sono fondamentali, soprattutto se provengono da ambiente diversi o contrapposti tra loro. Questo ti permette di avere una visione d’insieme che magari una fonte interessata potrebbe non fornirti. Io lavoro principalmente su documentazioni, spesso incontrovertibili, diverso il caso della fonte orale dove chiaramente bisogna trovare un riscontro con altri mezzi per valutarne la validità. Il Vaticano, ad esempio, è un ambiente molto chiuso, dove i documenti sono difficile da ottenere, sebbene garantiscano solidità una volta ottenuti.

 

- Ritiene che esista un percorso lineare per diventare giornalisti?

Oggi per fortuna esistono corsi post-universitari che danno una formazione idonea, anche pratica, per fare questo lavoro. Il giornalista del nuovo millennio è completamente diverso da quello del ‘900: attualmente tutto si basa sull’ immediatezza, assumono più importanza i contenuti digitali piuttosto che quelli dell’inviato, che fino a qualche anno fa mandava dei fax per poi scrivere gli articoli. Anche la carta stampata credo che ad oggi sia in una fase stagnante.

 

- Perchè ha deciso di occuparsi del Vaticano? Che riscontri ha avuto dall'opinione pubblica?

Nei casi che ho esaminato ho sempre parlato di responsabilità personali. La miccia è stata un’inchiesta sullo IOR, che è una banca misteriosa del Vaticano, con la fortuna di aver accesso ad un archivio inedito. Non si erano mai viste al mondo carte di quel tipo, le quali mi hanno permesso in seguito di aver accesso ad altri documenti ed altre storie. Quando scrissi il mio primo libro vi era un tabù fortissimo sulle notizie che riguardavano il Vaticano: l’effetto di quei testi generò reazioni scioccanti ed ebbe un impatto molto rilevante.

 

- Parliamo di libri: Quali sono le difficoltà e gli elementi da tenere in considerazione quando si scrive un libro? Come valuta la possibilità di auto prodursi?

Io sono un saggista, e credo che quando si ha un elemento forte da raccontare non ci siano particolari problemi nel trovare un editore che accetti la pubblicazione. La possibilità di auto prodursi penso rientri in un mercato secondario. Sicuramente ci sono stati libri di questo tipo che hanno avuto fortuna, tuttavia credo che si tratti di casi talmente rari da non poter essere tenuti in considerazione. Le regole per scrivere un libro sono quelle di sempre, ossia cercare argomenti che possano generare interesse e che sono poco conosciuti. Andare a cogliere notizie inedite in profondità garantisce soddisfazioni sotto tutti i punti di vista.


- Cosa pensa della situazione politica attuale? Non crede che i politici di oggi cerchino di individuare dei problemi e portarli avanti come  cavalli di battaglia (immigrazione, dazi, mafia etc.) per ottenere consensi?

Questa concezione consiste nel “marketing della paura”, molto utilizzato già nell’800 e nel’900, e che vede nella Guerra Fredda un importante esempio. Non c’è niente di nuovo: attualmente questo modo di far politica è semplicemente più visibile grazie ai social, che consentono l’auto produzione di notizie. Il voto della persona è  spesso emotivo, molto viene catalizzato da queste strategie.

 

- Cosa pensa della comunicazione digitale?

Non mi ritengo un nostalgico del passato. Il problema dei social credo sia cercare di capire come possano essere regolamentati. La comunicazione digitale oggi è ancora molto selvaggia, quindi la credibilità delle notizie diffuse si riduce. Non è la libertà che rende codificabile una notizia nella sua attendibilità, ma la premessa di una regolamentazione.

 

- Come si può rimediare all'attuale carenza di cultura in Italia?

Io credo che la strada maestra sia quella della formazione scolastica. Quando i nostri governanti spenderanno risorse per l’istruzione, almeno la metà di quanto fanno gli altri paesi, inizieremo ad essere un paese moderno.