NICOLA ROGGERO


-       Buongiorno Nicola. Come sono stati i suoi inizi prima di diventare un giornalista così conosciuto?

Il giornalismo è stato un modo per trasformare la grande passione per lo sport in un lavoro. Ho cominciato con delle collaborazioni con riviste ed emittenti private, seguendo il Basket ed il Football Americano. Il primo periodo di attività mi ha impegnato principalmente sulla carta stampata. Poi, dal 1996, ho iniziato a lavorare in televisione con Tele+ prima e Sky poi.

 


-       Telecronaca: Come si prepara una partita? Quali sono le difficoltà?

Quanto alla preparazione, penso sia una cosa soggettiva, in cui ognuno trova il suo modo di prepararsi. Ci sono telecronisti che analizzano molti aspetti tecnici, altri che sono legati alle storie dei protagonisti, altri ancora che insistono su temi sociali e politici. Non credo quindi ci sia una via univoca. Per un telecronista è fondamentale non diventare più importante dell’evento che racconta ed essere sempre una didascalia sotto l’immagine, senza mai sovrapporsi.

Per quanto riguarda le difficoltà, credo che seguendo determinati canoni, cercando di essere sé stessi, non si rischia di sbagliare. Le complicazioni possono essere legate al voler esagerare, provare a strafare e non essere naturali. Personalmente detesto chi segna frasi ad effetto prima di aver assistito all’ incontro. Preferisco dire una cosa banale o semplice, ma che sia spontanea e non artificiale.

 

 

-       Qual è stata la sua maggior soddisfazione sotto il punto di vista professionale?

Aver avuto la possibilità di commentare le Olimpiadi penso sia stato qualcosa di unico.

Non c’è niente di meglio per chi fa questo mestiere di arrivare all’Olimpiade. L’emozione di riuscire a raccontare un evento del genere è indescrivibile.

 

 

-       Valore sociale dello sport: quanto conta? In che situazione si trova l’Italia quanto a cultura dello sport?

Lo sport racconta sempre una società con almeno vent’anni d’anticipo. Se pensiamo alla nostra Nazionale di Atletica, scopriamo un’Italia che secondo molti sarebbe impossibile, composta da ragazzi di origine e colore della pelle diversi. Il nostro paese è molto arretrato per quanto riguarda la cultura sportiva: siamo circondati da tifosi e non da sportivi. “Tifoso” e “Sportivo” sono concetti molto distanti, il tifo è una malattia. Non si può pensare che chi vince è un eroe e chi perde è un infame; significa non aver mai fatto sport e non aver capito niente dei suoi valori. Non a caso, i paesi più avanzati nello sport sono anche quelli più avanzati nella società, basti guardare ai popoli scandinavi.

 

 

-       Nella sua carriera professionale ha scritto molti libri. Quali sono gli elementi da tenere in considerazione? Come valuta la possibilità di auto prodursi e promuoversi attraverso il digitale?

Personalmente uso pochissimo i social, quindi non conosco abbastanza questa seconda strada per poter dare suggerimenti. Per quanto riguarda lo scrivere libri, è possibile scegliere tra racconti dettati dalla fantasia, oppure testi legati a situazioni reali. In quest’ultimo caso, sono fondamentali le informazioni e le fonti che si scelgono.

 

 

-       La Premier League, dati alla mano, è il campionato con i ricavi più alti, ha la media spettatori maggiore d’Europa e la capacità di spesa dei club è elevatissima. Quali sono le differenze più rilevanti rispetto al modello italiano? Dipendono solo un fatto storico?

Il fatto storico è la base, ma non credo che le differenze siano dettate solo da questo. Basti pensare alla Bundesliga che, nonostante non abbia la storicità del calcio inglese, ha un sistema che funziona perfettamente, dove i conti dei club sono in regola, gli stadi sono bellissimi, l’affluenza del pubblico è ampia. Quello che separa la Premier dalla Serie A è dovuto al fatto che in Italia abbiamo una Lega formata da soggetti tesi a far fruttare per sé medesimi i guadagni, incapaci di fare sistema e ragionare in termini di collettivo. Pensiamo alla Coppa Italia: è una delle manifestazioni più screditate al mondo, in cui i Top Club iniziano a giocare dai quarti di finale, in più viene concesso loro di affrontare i match contro le “piccole” in casa. E’ qualcosa di inaccettabile, lontano dall’etica sportiva.

 


-       Che consiglio si sente di dare agli aspiranti giornalisti sportivi?

Innanzitutto è importante considerare il giornalismo come qualcosa di unico. Pensare di diventare giornalista conoscendo solo lo sport è sbagliato. Lo sport contempla una serie di conoscenze politiche, economiche, storiche e sociali senza i quali non si può comprendere la materia. Non può esistere un “giornalista di calcio”. Prendiamo come esempio le Olimpiadi, che spesso sono state mutilate dai boicottaggi: non conoscere fatti politici o di cronaca legati a quell’avvenimento significa non aver compreso nulla.

E’ fondamentale la passione per lo sport, dimenticando di fare il tifoso, esaltando l’arte, la bellezza ed i valori sociali che questa materia porta con sé.

 

 

-       Come si possono avvicinare i giovani alla cultura?

Personalmente suggerisco di tenersi informati il più possibile, attraverso libri o giornali. Essere in grado di sostenere un colloquio, discutere, sviluppare analisi critica è fondamentale.

Io credo comunque che ci siano tanti giovani in gamba. Odio le frasi che inizia con “Ai miei tempi i ragazzi…” etc. Le generalizzazioni sono assurde. Ci sono giovani colti e capaci che stanno aspettando l’occasione per emergere. Ovviamente ci saranno anche degli incapaci, ma questo vale per tutte le categorie: l’intelligenza o l’ignoranza non sono fattori che dipendono dall’età.